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Enzo Satta. architettura, paesaggio e memoria del futuro

Dalla Sardegna al mondo, e ritorno. L’architetto Enzo Satta racconta la sua visione dell’abitare tra radici, natura e innovazione, e il suo lungo dialogo con il territorio unico di Costa Smeralda®

C’è un filo invisibile che unisce i paesaggi della memoria a quelli del progetto. Per Enzo Satta, architetto sardo di formazione internazionale, quel filo passa attraverso la luce, la pietra, il vento e la misura dell’abitare mediterraneo.

Formatosi a Roma e a Harvard, Satta ha lavorato in alcuni dei contesti più iconici del pianeta — da Boston al Mar Rosso, dall’Australia ai Caraibi — per poi tornare in Sardegna e contribuire in modo determinante all’identità architettonica di Costa Smeralda®, dialogando con maestri come Luigi Vietti, Michele Busiri Vici, Jacques e Savin Couelle.

Origini e identità

Architetto Satta, partiamo dalle radici: che significato ha per lei essere nato e cresciuto in Sardegna? In che modo questa terra ha influenzato il suo sguardo sul paesaggio e sull’abitare?

«Sono nato in Sardegna, ma a quattro anni mi sono trasferito con la mia famiglia a Roma, dove mio padre insegnava lettere. Lì ho compiuto tutto il mio percorso di studi, dall’asilo all’università, ma le estati le trascorrevo sempre in Sardegna, con i miei nonni. Dopo mesi di vita cittadina, ritrovavo un mondo più semplice, spontaneo, fatto di abitudini e di ritmi diversi.

Roma mi ha insegnato la storia, l’arte, la complessità delle stratificazioni urbane; la Sardegna, invece, mi ha dato il senso dell’essenziale, la bellezza della natura aspra e autentica, l’architettura spontanea fatta di materiali poveri e di proporzioni misurate.

Mi porto dentro i profumi della macchia mediterranea, i riflessi della luce sui graniti, il vento che rende l’aria tersa: elementi che ritornano, anche inconsapevolmente, in ogni mio progetto.»

Il dialogo con Costa Smeralda®

Lei è tra coloro che hanno contribuito a costruire — letteralmente — l’identità estetica e funzionale di Costa Smeralda®. Cos’è per lei l’architettura smeraldina oggi?

«L’identità originaria di Costa Smeralda® è quella creata negli anni Sessanta da grandi architetti come Luigi Vietti, Michele Busiri Vici, Jacques e Savin Couelle, Simon Mossa, e da paesaggisti di fama internazionale come Hideo Sasaki, Don Olson, Morgan Wheelock, Robert Trent Jones.

Oggi l’architettura smeraldina è in evoluzione: il mondo è cambiato, come è cambiato il modo di vivere il turismo, le esigenze e la tecnologia. Resta però un punto fermo: il rispetto per l’eredità estetica e ambientale di un territorio unico, dove il granito e la macchia mediterranea creano un paesaggio di forza primordiale ma estremamente fragile.

Fin dalla sua fondazione, il Consorzio Costa Smeralda ha imposto regole di tutela rigorose, che ancora oggi rappresentano un esempio di equilibrio tra sviluppo e sostenibilità.»

Qual è il suo approccio quando interviene in un contesto tanto iconico quanto delicato come quello di Costa Smeralda®?

«Quando ho iniziato a lavorare qui, da giovane architetto, non immaginavo di poter collaborare con professionisti di tale livello. È stato naturale ispirarmi a ciò che avevano lasciato, interpretandolo alla luce delle nuove esigenze estetiche, funzionali e tecniche che nel tempo andavano emergendo.

Il mio approccio è sempre stato quello di un dialogo rispettoso: tra architettura e natura, tra memoria e contemporaneità.»

C’è un progetto, tra quelli realizzati in quest’area, che sente particolarmente suo?

«Probabilmente la Promenade du Port, che nel tempo si è rivelata ben integrata dal punto di vista urbanistico, paesaggistico e architettonico. L’alternanza di pieni e di vuoti, di volumi e di altezze, insieme all’uso dei materiali locali, restituisce armonia e coerenza con la tradizione costruttiva di Costa Smeralda® e della Sardegna. È un progetto che sento profondamente mio.»

Architettura e mondo

La sua carriera l’ha portata in contesti molto diversi — dal Waterfront di Boston agli insediamenti in Australia, nelle Filippine, in Africa e nei Caraibi. Qual è la lezione più importante che ha imparato viaggiando e lavorando nel mondo?

«La lezione più importante è che per avere successo in luoghi diversi bisogna capire e rispettare le differenze sociali, culturali e fisiche di ogni contesto.

Questo atteggiamento mi ha permesso di trovarmi a mio agio ovunque, professionalmente e umanamente. Ho imparato che da ogni cultura si può attingere qualcosa di prezioso, anche da quelle più lontane dalla nostra.»

Come riesce a coniugare la visione locale con quella globale?

«Cerco prima di tutto di comprendere la visione locale, poi inserisco in essa gli elementi positivi e innovativi che provengono da esperienze globali. L’architettura è sempre un equilibrio tra identità e apertura, tra appartenenza e trasformazione.»

Il ritorno alle origini

Dopo aver lavorato in molti Paesi, ha scelto di tornare e radicarsi in Sardegna. Cosa l’ha riportata qui?

«Sin da bambino mi sono allontanato dalla Sardegna con naturalezza, e con la stessa naturalezza vi sono sempre tornato. Dopo l’esperienza di studio ad Harvard e sette anni di lavoro negli Stati Uniti, mi si è presentata l’occasione di contribuire allo sviluppo di Costa Smeralda®.

Tornare è stato naturale: qui sono le mie radici, la mia memoria e il mio senso di appartenenza. Pur continuando a lavorare a livello internazionale, la Sardegna resta il mio punto di riferimento.»

Cosa significa progettare oggi in Sardegna, in un momento in cui sostenibilità e paesaggio sono al centro del dibattito architettonico?

«Oggi sostenibilità e tutela del paesaggio sono finalmente diventate parte integrante della cultura architettonica sarda. L’attenzione ai materiali locali, alle innovazioni tecnologiche e alle nuove esigenze abitative è la chiave per costruire un’architettura contemporanea che resti in armonia con il territorio.»

Etica e futuro

In che direzione sta andando oggi l’architettura? Quali sono, secondo lei, le sfide più urgenti?

«Le responsabilità etiche degli architetti sono sempre più legate alle nuove tecnologie. Anche in architettura è entrata l’intelligenza artificiale: uno strumento che offre grandi opportunità, ma anche rischi.

Tra questi, la standardizzazione, la perdita del ruolo umano del progettista e la minore attenzione al contesto culturale e sociale. La vera sfida sarà usare la tecnologia senza perdere la sensibilità del mestiere.»

Che consiglio darebbe a un giovane architetto sardo che sogna di lavorare nel mondo senza dimenticare le proprie origini?

«Per un isolano è difficile dimenticare le proprie radici, ma è fondamentale guardare oltre il mare. Consiglio sempre di fare almeno un’esperienza professionale all’estero, scegliendo non in base alla geografia ma alla qualità dell’esperienza. Solo così si cresce davvero, portando poi a casa ciò che si è imparato altrove.»

Un ricordo e un sogno

Se dovesse scegliere un solo progetto che l’ha cambiata, quale sarebbe?

«Probabilmente il progetto Depression of the Central Artery of Boston, a cui ho lavorato per oltre cinque anni. Si trattava di demolire un’autostrada sopraelevata che divideva la città dal suo Waterfront e di sostituirla con un tunnel sotterraneo di circa due chilometri e mezzo.

Abbiamo restituito a Boston oltre 250 ettari di superficie, ricreando la continuità urbana e architettonica tra il centro e il mare. È stato un progetto complesso, completato nei tempi e nei costi previsti, che mi ha insegnato un metodo pragmatico e rigoroso. Un’esperienza che ha influenzato anche il mio approccio al Master Plan di Costa Smeralda®.»

E un sogno ancora nel cassetto?

«Mi verrebbe spontaneo dire: completare il programma di sviluppo di Costa Smeralda®. È un sogno probabilmente destinato a restare tale, ma resta anche la prova che un progetto concepito oltre sessant’anni fa continua a essere unico al mondo: un luogo dove architettura, paesaggio e visione si fondono in modo irripetibile.»

Arianna  Pinton