Il resto dell’alba, Pininfarina Architecture e Patrick Tuttofuoco al Man di Nuoro
Si terrà fino al 3 marzo 2024 una mostra avvolgente fra arte e architettura al Museo Archeologico Nazionale Giorgio Asproni di Nuoro
Dopo l’omaggio alla scalinata di Odessa e ai workshop con le università di architettura di Cagliari, Alghero e Palermo, fino al 3 marzo al Museo Archeologico Nazionale Giorgio Asproni di Nuoro si terrà mostra Il Resto dell’Alba, nata dall’idea fra l’artista Patrick Tuttofuoco, la curatrice museografa Maddalena d’Alfonso e l’architetto Giovanni de Niederhäusern, vicepresidente di Pininfarina Architettura. Si tratta di un’opera avvolgente che mette in stretta relazione reale e virtuale dando vita a un corpo fisico all’ipertecnologia del digitale.
Lo spazio dell’arte è interpretato dagli artisti come un luogo esperienziale generato con strumenti di prototipazione virtuale. Una frontiera dove spazio e pubblico interagiscono in un dialogo attivo e costruttivo. Da un lato troviamo la storia con il suo passato glorioso rappresentato dal mito delle civiltà antiche. Un mondo che può essere raffigurato da una scultura nuragica, come simbolo delle nostre origini e delle nostre radici. Se da un lato il “da dove veniamo” ha una sua importanza cruciale, dall’altro c’è il futuro da tenere bene a mente. Un futuro legato al digitale simboleggiato dall’immagine incorporeo e aurorale della luce epifanica di un sole doppio. «Una prospettiva e, al contempo, una nuova genesi, ispirata alla classica iconografia del sole nascente, di matrice anarchica, speranza di un avvenire radioso, allegoria di una rigenerazione e di un nuovo senso dell’abitare dell’uomo sulla terra, così come teorizzato da Jean-Jacques Rousseau, Bruno Taut o Martin Heidegger». Il “dove andiamo” è il secondo tema di questa mostra e di un’opera attraversabile in un viaggio allegorico, dove l’esperienza si sublima nella dimensione del simbolo.
L’ambiente è realizzato con strumenti di design parametrico di tipo generativo in alluminio tagliato con una tecnica denominata mesh clustering. Questo processo consente di ottimizzare l’uso del materiale e, a fine mostra, di riutilizzare il materiale usato per l’opera sfruttando la filiera del riciclo. «Il sole doppio – si legge nella nota – è una forma-oggetto composta dalla sfera incipiente e dal suo doppio, che è anche un’ombra luminosa, un inconcepibile cortocircuito sulla questione della fonte della luce e del calore».
L’obiettivo della mostra è di offrire un’occasione di dialogo tra arte, architettura e museografia, lasciando al pubblico tutto lo spazio necessario per vivere un’esperienza personale, «in cui la dilatazione del momento dell’alba cristallizza uno stato di attesa, un tempo sospeso e pone l’osservatore di fronte a quesiti su un futuro sempre più innaturale ma nell’ottica di una reciprocità virtuosa fra natura e tecnologia». Come afferma il curatore, fra passato e futuro, il visitatore incarna il presente. «Il paesaggio museografico desunto dall’immaginario digitale del metaverso, fa percepire il fascino del disagio di essere troppo vicini al sole». Un momento di riflessione su temi di stretta attualità da affrontare con urgenza dal cambiamento climatico, alla riduzione degli sprechi e delle materie prime.
Riccardo Lo Re